A proposito del caso di licenziamento al Piccolo Cottolengo di Milano.
A proposito della caso di licenziamento al Piccolo Cottolengo di Milano.
Un amico giornalista mi inviò subito il link della notizia ANSA, ripresa da moltissimi organi nazionali di comunicazione che, sostanzialmente, gridavano all’ingiustizia con il titolo “Licenziata perché malata di cancro” presentando – il 1° maggio, festa dei lavoratori – il caso della signora Bruzzano Giuseppina, dipendente del nostro Piccolo Cottolengo di Milano.
Ricordo il mio primo laconico commento all’amico giornalista: “Non ho notizie. Ma stento a credere che abbiano commesso una illegalità e tanto peggio un’ingiustizia”.
Poi le notizie sono giunte a dare piena risposta alla mia sospensione di giudizio, dettata anche da personale e fraterna conoscenza dei responsabili del Piccolo Cottolengo di Milano.
È giunta successivamente una lettera di solidarietà di 100 dei 130 dipendenti di un turno lavorativo che – udita la notizia – hanno preso subito posizione con la direzione del Piccolo Cottolengo (riportata qui sotto).
Oggi è stata diffusa una “Lettera aperta” di Don Pierangelo Ondei, direttore del Piccolo Cottolengo (riportata qui sotto).
Sottolineo solo alcune espressioni. «Nessun “licenziamento a causa del cancro”». E poi la spiegazione: «Anche a fronte delle più recenti richieste di Giuseppina Bruzzano abbiamo valutato, nel rispetto della legalità, tutte le alternative possibili tenendo conto delle sue necessità, di quelle dei nostri assistiti e degli altri dipendenti, come ci impone il nostro dovere e la nostra attenzione alle esigenze di tutti coloro che fanno parte della nostra comunità. Le alternative proposte sono state rifiutate dalla signora Bruzzano».
Trovo molto generosa e plaudo all’iniziativa annunciata da Don Ondei: «Proporremo a Giuseppina Bruzzano – si legge nel comunicato – una posizione creata dal nulla appositamente per lei in Milano e di questo daremo comunicazione alla signora al più presto».
Resta il rammarico e l’indignazione per come casi umani personali – non conosciuti esattamente – vengano strumentalizzati per rivendicare una giustizia che è oltre la giustizia, cioè si ricorre alla prepotenza del clamore e della sentenza mediatica che offende la verità e con essa l’onore di chi, alla verità e all’onore, ancora ci tiene.
Altre testimonianze al seguente sito.