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12 Marzo 2018

DON ORIONE: Come visse l’ora della sua morte: 22.45 del 12 marzo 1940

Ore 22.45: “Gesù, Gesù… vado”.

Don Orione, dopo una giornata serena, aveva da poco spento la luce della sua cameretta.

Un quarto d’ora dopo sentii una specie di lamento: accorsi immediatamente – ha riferito il chierico Modesto Schiro -. Erano le 22,30. Don Orione aveva, nel suo letto, due cuscini. Teneva, nel dormire, la testa un po’ alta, per il cuore e la respirazione. Quando si sentì male, accese la luce e si tirò più su. L’aspetto non era preoccupante, ma capivo che non stava bene. Teneva la mano sinistra sul cuore, e con la mano tormentava in quel punto un po’ la camicia.

Gli chiesi: “Le faccio una puntura, Signor Direttore?”.
E lui: “No, no, aspetta un poco, che passa”.

Stava sul letto, in silenzio. Premeva la mano sul cuore, sentivo che stringeva un po’ i denti in qualche momento. Si vede che il male era forte, benché i segni esterni non fossero così notevoli come nell’altra crisi. Io stavo lì, guardando, senza toccarlo, sempre più preoccupato, per vedere come si mettevano le cose. Avevo visto l’altro attacco a Tortona che era molto più forte. Pensavo che sarebbe passato.

Passarono così alcuni minuti. Proprio credevo in un malessere passeggero.
Allora proposi: “Prenda almeno alcune gocce di coramina!”.
Bene, quelle sì”.
Gliele versai subito e allora le prese: tre piccoli sorsi, rapidamente, per consumare quel dito d’acqua nel bicchiere”.

Erano passati dall’inizio pochi minuti, circa un quarto d’ora, dalle 22,30 alle 22,45. Visto che aveva preso la coramina e che il male non accennava a diminuire, tornai ad insistere:
“Facciamo anche la puntura”.

Fece a questo punto segno di accondiscendenza.
Si”, disse.
Avevo già preparato tutto. Rapidamente feci l’iniezione di Resil.

Visto che aveva la respirazione difficile, lo sollevai e misi dietro la schiena alcuni cuscini: in seguito pensai bene farlo scendere su una poltrona accanto al letto. Ma peggiorava.

Vuole che chiami don Bariani?
Sì, sì.

Uscii e tornando vidi Don Orione disposto a scendere dal letto.

Vuole ossigeno?
Sì.

Mentre, sul letto, prendeva l’ossigeno arrivò don Bariani.
Insieme lo aiutano a sedersi sulla poltrona.
Don Orione gli sussurra: “Un dottore”.
Don Bariani esce a cercare un dottore.

La poltrona era dalla parte opposta del comodino, verso la finestra. Io gli tenevo il braccio destro intorno alla spalla, e lui appoggiava su di me il capo; era ormai morente.

Intanto, per il tramestio, anche le suore si accorsero che qualche cosa di grave stava succedendo. Suor Maria Rosaria, la superiora, pensando che potevamo aver bisogno di qualche cosa apparve sulla porta di comunicazione tra la mia camera e quella di Don Orione. Don Orione fece il gesto per fermarla con la mano mancina. La Suora uscì.

Sudava. Lo avvolsi in una coperta, lo scialle nero sulle spalle.
Quando vidi che Don Orione stava proprio morendo, io feci cenno a Suor Maria Rosaria, che vedevo come un’ombra furtiva, affacciarsi appena alla porta e sparire, di venire. Essa entrò, ma senza farsi vedere da Don Orione, e si pose di dietro a me, che stavo al fianco della poltrona, e col braccio destro circondavo le spalle del morente, il quale si abbandonava sul mio petto e contro il mio viso.

Don Orione, con gli occhi rivolti al cielo, sussurrò “Gesù, Gesù”, una prima volta, ed ancora “Gesù, Gesù”, e poi “Vado”. 
Alzò gli occhi verso di me, rivolgendomi uno sguardo che non dimenticherò mai più. Non c’era in lui nessun segno di turbamento, ma una grande serenità.
Poi, per la terza volta, alzando ancora gli occhi al cielo, senza rantolo, senza affanno, ripeté: “Vado… Gesù! Gesù!” e reclinò il capo sulla mia spalla”.

Sono le 22,45 del 12 marzo 1940.

DFP
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